Modigliani
MODIGLIANI
Roma, Complesso del Vittoriano
Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali)
24 febbraio – 20 giugno 2006
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana
“Poeta ardente e pittore grande fra i grandi… Passò come una meteora; tutto grazia, tutto collera, tutto sprezzo. La sua anima altera di aristocratico aleggiò a lungo fra noi nei riflessi cangianti dei suoi begli stracci versicolori”. (P. Guillaume, 1930).
Modigliani mancava da Roma da molti anni; l’ultima mostra fu organizzata nel 1959 da Palma Bucarelli alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Dal 24 febbraio al 20 giugno 2006 il Complesso del Vittoriano ha proposto l’intero percorso creativo di “Modigliani” attraverso una significativa retrospettiva di circa 100 opere tra oli, acquerelli, sculture e disegni, realizzati dagli anni della formazione al 1919. Un vero e proprio omaggio all’artista livornese soprannominato Modì, curiosa omofonia con “maudit”, artista maledetto, morto nel 1920 a soli 35 anni.
Hanno partecipato alla mostra con i loro capolavori importanti musei pubblici e prestigiose collezioni private di tutto il mondo. Tra i paesi intervenuti: Stati Uniti, Canada, Brasile, Israele, Francia, Gran Bretagna, Svizzera e Spagna. L’Italia intera ha voluto ricordare Modigliani: sono state esposte in mostra tutte le opere conservate nel nostro Paese: la Pinacoteca di Brera e le Civiche Raccolte di Milano sono stati presenti con i loro 4 oli, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma con le sue 3 opere, Torino con la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli con i loro 2 oli, e poi, ancora Livorno, Udine, Venezia, Verona.
La Mostra, che è nata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è promossa dal Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali, Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche, Assessorato alla Comunicazione – unitamente alla Provincia di Roma – Presidenza, Assessorato alle Politiche della Cultura, della Comunicazione e dei Sistemi Informativi – e alla Regione Lazio – Assessorato Cultura, Spettacolo e Sport.
L’esposizione “ Modigliani” è stata curata da Rudy Chiappini, Direttore del Museo d’Arte Moderna di Lugano, e si è avvalsa di un prestigioso Comitato Scientifico composto da Mason Klein, Curatore del The Jewish Museum di New York; Griselda Pollock, Direttore dell’ AHRB, Centre for Cultural Analysis, Theory and History, University of Leeds; Werner Schmalenbach, Direttore fino al 1991 del Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf; Jeffrey Weiss, Curatore del Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea della National Gallery of Art di Washington; Maria Teresa Benedetti, Storico dell’Arte; Claudio Strinati, Soprintendente per il Polo Museale Romano. Corrado Augias, che alla vita di Modigliani ha dedicato anni di studio e diverse pubblicazioni, è stato protagonista del filmato introduttivo, che apre l’esposizione. La rassegna è stata coordinata e organizzata da Alessandro Nicosia.
La mostra
Come afferma Rudy Chiappini, attraverso una ricca rappresentazione di opere raccolte nel mondo, “obiettivo dell’ampia esposizione, è quello di mettere in risalto il grande valore della ricerca di Modigliani in quel clima assolutamente unico creatosi a Montmartre prima e a Montparnasse poi nella Parigi d’inizio Novecento.”
Bohèmien, dandy, eccentrico, raffinato, irrequieto, magneticamente bello e seduttivo, su Amedeo Modigliani aleggia la fama di artista maledetto. Scrive l’amica russa Anna Achmatova: “Tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso dal resto del mondo… Mi parve circondato da un compatto anello di solitudine”. Lo descrive mentre ama errare di notte per Parigi, declamando a memoria i versi di Baudelaire, Verlaine, Mallarmé; mentre recita interi canti della Divina Commedia nei giardini del Lussemburgo o seduto ad un caffè di Montparnasse. A tratti esibizionista, non a caso Picasso ci racconta un po’ malignamente delle sue clamorose scenate di ubriachezza, dei suoi celebri tornados fatti platealmente ai crocicchi di Montparnasse. Il poeta Max Jacob, di cui in mostra un veloce ritratto a matita, ci racconta della sua eleganza “tipicamente italiana”: i grandi foulard bianchi, le larghe giacche di velluto un po’ logoro, l’inseparabile Borsalino.
Energia focosa scorre nelle sue vene. Lui stesso scrive: “Io stesso sono in preda allo spuntare e al dissolversi di energie fortissime: io vorrei invece che la mia vita fosse come un fiume ricco d’abbondanza che scorresse con gioia sulla terra…” e ancora “L’uomo che dalla sua energia non sa continuamente sprigionare nuovi desideri e quasi nuovi individui destinati per affermarsi sempre e abbattere tutto quello che è di vecchio e di putrido restato, non è un uomo, è un borghese, uno speziale, quel che vuoi”. Non manca nulla: c’è la polemica antiborghese, la condanna del passato, l’ardore nell’affrontare la vita e l’arte.
La produzione artistica di Modigliani si intreccia intensamente con la sua vita, le donne amate, le amicizie, i letterati, i poeti e i pittori frequentati…
Nato nel 1884 da una famiglia della migliore tradizione israelita mediterranea, giovanissimo è già minato nella fragile salute da una pleurite e da un tifo con complicazioni polmonari; la madre annota: “ha rinunciato agli studi e non fa più che della pittura, ma ne fa tutto il giorno e tutti i giorni con un ardore sostenuto che mi stupisce e mi incanta”. Frequenta lo studio di un allievo di Giovanni Fattori e nei viaggi in Italia del 1901-1903, studia i grandi maestri del Trecento e del Quattrocento nei musei di Napoli, Roma, Firenze e Venezia. Ama Simone Martini, Duccio, Botticelli, Tino da Camaino. Roma lo incanta e all’amico Oscar Ghiglia scrive: “Di Roma non ti parlo. Roma che mentre ti parlo è non fuori ma dentro di me, come un gioiello terribile incastonato sopra i suoi sette colli, come sopra sette idee imperiose. Roma è l’orchestrazione di cui mi cingo, la circoscrizione in cui mi isolo e pongo il mio pensiero. Le sue dolcezze febbrili, la sua campagna tragica, le sue forme di bellezza e di armonia, tutte queste cose sono mie, per il mio pensiero e per la mia opera. Ma io non posso dirti tutta l’impressione che io trovo in lei, né tutte le verità che io ho saputo cogliere da lei. […] Cerco inoltre di formulare con la maggior lucidità le verità sull’arte e sulla vita che ho raccolto sparse nelle bellezze di Roma, e come me ne è balenato un collegamento intimo, cercherò di rivelarlo e di ricomporne la costruzione e quasi direi l’architettura metafisica per crearne la mia verità sulla vita, sulla bellezza, sull’arte. […]”
Soutine esclamerà in seguito:“Modigliani: ecco l’intera anima dell’Italia” e Severini parlerà di “un’eleganza tutta toscana”.
Dopo un soggiorno veneziano, nel 1906 Modigliani arriva a Parigi e affitta uno studio a Montmartre. Fondamentale l’incontro con l’opera di Toulouse Lautrec, il cromatismo esasperato dei Fauves – si veda il ritratto di Joseph Lévi – e, soprattutto, nel 1907 con la pittura di Cézanne in cui ritrova la solidità della composizione architettonica e la potenza del disegno. In mostra lo studio per Il suonatore di violoncello, olio su tela del 1909, in cui salde volumetrie, pennellate dense e pastose costruiscono il braccio allungato e lo sfondo bituminoso. Sempre nel 1907 conosce il primo estimatore e collezionista, Paul Alexandre, giovane medico appassionato d’arte che, insieme al fratello Jean, del quale è esposto in mostra un intenso olio, sarà per Amedeo un amico fraterno.
Nel 1909 Modigliani si stabilisce definitivamente a Montparnasse. Sono gli anni della scoperta della scultura negra e della forza espressiva e ritmica, quasi musicale, della linea; nasce l’amicizia con Brancusi, di cui è eccezionale testimonianza il ritratto abbozzato sul verso della tela, che in seguito accoglierà lo studio per Il suonatore di violoncello. “Occhio di Montparnasse”, come lo definisce Maurizio Fagiolo dell’Arco, in due decenni di attività Modigliani ritrae un’intera galleria di pittori, mercanti, poeti, intellettuali e personaggi che animano Montmartre e Montparnasse al principio del secolo.
Sono gli anni in cui si dedica intensamente alla scultura. Scolpisce in pietra teste che risentono anche delle suggestioni della plastica greca arcaica. In mostra la Testa del 1911-1912 proveniente da Toronto. Nonostante Amedeo riconosca nella scultura la sua vera vocazione, le sue cagionevoli condizioni di salute non possono affrontare lo sforzo fisico richiesto dalla scultura e le polveri della pietra che gli attaccano i polmoni. Queste considerazioni, insieme ad altre più pratiche legate al costo dei materiali ed alla difficoltà di reperirli, lo portano dal 1914 a concentrarsi sulla pittura. L’amatore d’arte e mercante Paul Guillaume diviene acquirente delle sue opere. Dopo innumerevoli amanti ed una relazione di due anni, fatta di turbolenti litigi e appassionate riappacificazioni, con la giornalista e poetessa inglese Beatrice Hastings, nel 1916 Modigliani incontra Jeanne Hébuterne, diciannovenne allieva all’Accadémie Colarossi, che diviene la sua compagna. La tavolozza si rischiara, una nuova luce intride le pennellate, le tonalità si fanno più dolci. La salute di Modigliani è sempre più precaria e il suo animo fragile soffre per la mancanza di un successo, che tanto stenta ad arrivare, mentre ha già sorriso a tanti degli artisti con cui Amedeo ha cominciato la sua avventura. Nel 1918 Zborowzki porta Modigliani in Costa Azzurra, nella speranza che il clima giovi alla sua salute. Qui nasce la piccola Jeanne, figlia della Hébuterne e di Amedeo. Sono momenti un po’ più sereni con una prospettiva di successo, anche grazie alla sua partecipazione ad una mostra a Londra l’anno successivo, e sono gli anni più produttivi dell’artista, con circa 100 opere dipinte tra il 1918 e il 1919. La salute di Modigliani, però, non fa che peggiorare, senza che lui se ne occupi. Il suo tormento, di uomo e di artista, cessa il 24 gennaio 1920, quando Amedeo si spegne, scrive Zborowski al fratello Emanuele “senza soffrire”. Due giorni dopo, Jeanne Hébuterne si getta dalla finestra con in grembo il figlio di otto mesi.
I ritratti
Lo stesso artista racconta: “Per lavorare ho bisogno di un essere vivo, di vedermelo davanti. L’astrazione mi affatica, mi uccide ed è come un vicolo cieco”. Una cifra linguistica personalissima contraddistingue i ritratti di Modigliani: lunghi colli sinuosi sorreggono, quasi corolle su fragili steli, volti allungati costruiti da un segno sottile che si snoda leggero, con singolare purezza, chiudendo le forme in un ritmato giuoco di arabeschi di squisita eleganza. “Botticelli moderno, tutto bruciato dal fuoco dello spirito, che rende esili, quasi immateriali le sue creature, per lasciarne meglio trasparire lo spirito meditativo e gentilmente malinconico…” scrive la Sarfatti nel 1930. Una sorta di energia drammatica deriva proprio dall’apparente semplicità con cui questi ritratti dell’anima ci fissano da lontananze sospese, da orbite spesso vuote, da occhi sempre rovesciati verso il proprio sé.
Nella mostra “Modigliani”, questo senso di straniamento, questa visionarietà delicata, questa sottigliezza pensosa dei visi, traspare sia negli oli, sia nelle opere su carta. Spiccano gli splendidi ritratti di Monsieur Chéron, olio su tela del 1915, del poeta polacco Leopold Zborowski, olio su tela del 1919 di Paul Guillaume seduto, un olio su tela del 1916 di Monsieur Baranowski, olio del 1918, del dr.François Brabander, un olio su tela del 1919 e del ritratto a matita che fissa sulla carta Jean Cocteau. Quest’ultimo esclamerà: “Modigliani segnava la fine di una profonda eleganza a Montparnasse, ma non lo sapevamo. Pensavamo invece che quelle lunghe giornate di pose da Kisling, quei disegni da caffè, quei capolavori a cinque franchi, quelle baruffe, quegli abbracci sarebbero durati per sempre”.
Ed è sempre una forma remota e incantata, una materia pittorica ricca e pastosa, densa e raffinata, a costruire i ritratti di donne: nel 1916 la vezzosa Lolotte, dai volumi netti e sintetici, la lieve Renée, la Donna con vestito scozzese, in cui sottili rimandi collegano in un gioco di contrappunti cromatici il colore dell’abito e gli orecchini; e ancora Hanka Zborowska del 1917, dalla sintetica volumetria, Beatrice Hastings con berretto del 1914 e con camicetta a quadri del 1915, descritta da Max Jacob come “un’ubriacona, pianista, elegante, bohèmienne, circondata da banditi un po’ artisti e ballerini”, qui fissata attraverso forme geometriche pure, Teresa del 1915, in cui si fondono cubismo, sintetismo primitivista e la lezione di Cézanne, La bella spagnola del 1918, la splendida Lunia Czeschowska, olio su tela del 1919, dove un unico e continuo filamento ondoso delinea i contorni purissimi. Tenera la raffigurazione della donna della sua vita, Jeanne Hébuterne, ritratta davanti a un letto nel 1919.
La luce mediterranea trascolora, nel 1918, Monsieur Baranowski e il Ragazzo con giacca azzurra appoggiato a un tavolo: pervasi da un lirismo malinconico e avvolti da una spiritualità quasi magica, ci scrutano con occhi azzurrati senza pupille.