Paul Gauguin. Artista di mito e sogno
PAUL GAUGUIN
artista di mito e sogno
Roma – Complesso del Vittoriano
Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali)
sabato 6 ottobre 2007 – domenica 3 febbraio 2008
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana
“Paul Gauguin. Artista di mito e sogno”: dal 6 ottobre 2007 al 3 febbraio 2008 al Complesso del Vittoriano di Roma circa 150 opere tra oli, disegni, sculture e ceramiche hanno documentato il percorso umano ed artistico del grande Maestro evidenziando il suo sognante vagheggiare un’Età dell’Oro, i richiami alla cultura e alla tradizione, le innovazioni del suo linguaggio pittorico unite ad un esotismo colto ed eclettico. Un’opportunità unica, a due passi dalla Colonna Traiana, dal Foro, e da altri antichi siti archeologici, per considerare in situ le radici romane dell’opera di Gauguin, il suo debito nei confronti dei miti del passato e del presente primitivo, nella prima monografica mai dedicata a Roma all’artista francese.
La Mostra, che è nata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e con la collaborazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è avvalsa del patrocinio del Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero Affari Esteri, Ministero Pubblica Istruzione e Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano ed è stata promossa dal Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali, Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche, Assessorato alla Comunicazione – unitamente alla Regione Lazio – Presidenza, Assessorato Cultura, Spettacolo e Sport.
Capolavori provenienti da importanti musei pubblici e prestigiose collezioni private di tutto il mondo, tra cui spiccano il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, la National Gallery of Art di Washington e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, hanno ripercorso l’intero cammino della vita e dell’opera del pittore da cui traspare la costante ricerca di una sorta di mitico Eden, il sogno di un luogo remoto sospeso nel tempo in cui regna una pace perfetta e un’abbondanza felice.
Come sottolinea Stephen F. Eisenman, “nessun artista, né prima né dopo, ha così assiduamente raffigurato l’incontro tra un colonizzatore europeo e gli indigeni, né trasformato in modo così radicale tale difficile rapporto in opere altrettanto incantate ed inquietanti. Gauguin, l’artefice di miti e sogni, Gauguin il Simbolista era anche Gauguin il virgiliano ed il classicista, i cui modelli di pensiero sono strettamente legati all’arte ed alle tradizioni letterarie di Roma antica.”
L’esposizione “Paul Gauguin. Artista di mito e sogno”, a cura di Stephen F. Eisenman, Ordinario di Storia dell’Arte alla Northwestern University, Chicago, con la collaborazione di Richard R. Brettell, Commissario Internazionale della mostra, Ordinario di Estetica alla University of Texas, Dallas, si è avvalsa di un prestigioso Comitato Scientifico composto da Richard R. Brettell, Anne-Birgitte Fonsmark, Direttore del Ordrupgaard Museum, Copenhagen, Tamar Garb, Ordinaria di Storia dell’Arte allo University College, Londra, Abigail Solomon-Godeau, Ordinaria di Storia dell’Arte all’Università della California, Santa Barbara. La rassegna è stata organizzata e realizzata da Alessandro Nicosia.
La mostra
“Tra i tesori di Roma antica, vi sono i suoi miti ed i sogni di un’Età dell’Oro. Questo patrimonio culturale, che si rifà a tempi e luoghi remoti in cui regnava una pace perfetta e l’abbondanza, sono rappresentate nella poesia e nella prosa di Ovidio, Virgilio ed altri autori romani (…). Tali immagini utopiche, il meraviglioso sogno di poeti ed artisti, sopravvissero come balsamo per culture e società caratterizzate da violenza, povertà e sfruttamento e come una bussola, che indicava il cammino da percorrere ai rivoluzionari che volevano cambiare tutto, diventando, quasi
duemila anni dopo, il centro dell’arte e del pensiero di Paul Gauguin.” (S. F. Eisenman). Da qui nasce il suggestivo titolo della Mostra: “Paul Gauguin. Artista di mito e sogno”.
Gauguin non è un classicista o un accademico convenzionale. La sua Età dell’Oro non è quella di Corot, pittore di ninfe dei boschi e albe eterne, né di Puvis de Chavannes, artista di boschi sacri e Monti Parnasi. Nonostante ciò, Gauguin sicuramente attinge dalle sue conoscenze sulle divinità e sugli eroi dei tempi antichi quando dipinge i suoi soggetti bretoni, tahitiani e delle isole Marchesi. I riferimenti all’antichità classica sono, per certi versi, inevitabili: in un momento storico in cui la ricerca etnologica e la comprensione delle cosiddette “culture primitive” sono ancora agli inizi, Gauguin non avrebbe potuto rappresentare la società indigena bretone, della Martinica o del Pacifico meridionale senza fare in parte riferimento ai paradigmi dell’antica Grecia, romani, virgiliani e dell’Età dell’Oro. Tuttavia, il suo legame con l’antichità va ben oltre qualcosa di istintivo; Gauguin menziona Virgilio in molte delle sue lettere ed in altri scritti, e deriva una serie di composizioni da fotografie di monumenti di Roma antica.
Per l’artista francese, stanco della lotta quotidiana per la sopravvivenza, imprigionato nella moderna Parigi, i miti di una cultura superstite e primitiva in Martinica, Bretagna ed Arles, ed il sogno di una vita libera tra i pacifici abitanti dell’Oceania rappresentano una liberazione; infiammano la fantasia e nutrono le sue energie artistiche.
Di fatto, Gauguin trova meno ma anche più di quanto previsto a Tahiti ed alle Marchesi: l’ordine primitivo che sognava non esisteva più – ma era mai esistito? -, tuttavia la ricchezza e la complessità della vita che aveva davanti agli occhi stimola la nascita di una serie di opere tra le più vivide e durature nella storia dell’arte.
L’ampia antologica “Paul Gauguin. Artista di mito e sogno” ha voluto proporre una ulteriore meditazione sull’opera dell’artista francese offrendo anche al vasto pubblico la preziosa opportunità di ripercorrere tappa per tappa il cammino artistico di Gauguin.
Nel 1874, ormai sposato con la danese Mette Gad, mentre lavora come agente di borsa e pittore dilettante, Gauguin visita la prima mostra impressionista, dove incontra Pissarro. Nel 1880, sul punto di diventare un artista a tempo pieno, espone le proprie opere con gli impressionisti. Nel 1882 una forte recessione economica conduce Gauguin ad abbandonare la professione e a trasferirsi in Danimarca. Con il crescere delle responsabilità e della routine, i suoi sogni di un’Età dell’Oro virgiliana diventano ancora più fervidi e, nel giugno 1885, Gauguin torna a Parigi con il figlio Clovis, lasciando la moglie in Danimarca.
A Parigi il suo pensiero è costantemente rivolto a sogni di evasione ed ai modelli di Pissarro e Cézanne. Alla ricerca di un luogo in cui vivere con poco, ma anche della compagnia di artisti come lui, nell’estate del 1886, Gauguin si reca a Pont Aven, in Bretagna. In mostra, sono presenti esempi di questo periodo messi a confronto con le opere degli Artisti che gravitavano intorno al villaggio bretone. In alcune opere risalenti a tale breve periodo, i colori turbolenti sono preludio della fecondità di una terra magica.
Durante il breve ma turbolento soggiorno con Van Gogh ad Arles alla fine del 1888 Gauguin prosegue con la sperimentazione dei contorni, l’astrazione ed una scelta cromatica apparentemente arbitraria. I colori sono divisi in ordinati blocchi rettangolari – bianco, marrone, verde, ocra, arancio – e ciascuno è separato dagli altri da linee scure, simili a fili.
All’inizio del 1889, Gauguin fa ritorno in Bretagna. La sua situazione finanziaria precaria, tuttavia, non migliora e Gauguin parte per Tahiti nel maggio 1891 per realizzare ciò che definisce uno “studio dei tropici… in cui la vita materiale possa essere vissuta senza denaro… ed in cui vivere significa cantare ed amare”. Lì si sarebbe stabilito in una capanna, diceva, in uno stato di “primitività e selvatichezza”.
Dopo un inizio positivo, le speranze dell’Artista di vedersi commissionare importanti e remunerativi ritratti si infrangono anche a causa del carattere anticonformista ed egli si ritira dalla capitale a Mataiea, una cittadina ad una trentina di chilometri a sud, dove resta quasi due anni, a volte in compagnia della sua amante Teha’amana, dedicandosi alla rappresentazione di volti e corpi per lo più di indigene sconosciute. Il suo obiettivo è quello di rinunciare al proprio status di colonizzatore e diventare un indigeno, encanaqué. Che cosa porta Gauguin verso i lontani mari del sud? Le sue motivazioni sono indubbiamente molteplici e complesse. Vuole essere un agitatore, un ribelle, uno straniero ed un rinnegato, ma anche ricostituire attraverso l’arte quelle immagini fantastiche di un’Età dell’Oro, che dominano la sua mente fin dai suoi primi viaggi intorno al mondo, quando era entrato nella marina mercantile.
I dipinti che raffigurano donne costituiscono il centro dell’opera tahitiana di Gauguin. Nell’estate del 1893, Gauguin fa ritorno in Francia nella speranza di trarre vantaggio dalla sua nuova ed esotica reputazione. Una mostra delle sue opere tahitiane presso il gallerista Paul Durand-Ruel, riceve recensioni decisamente contrastanti e vende poco. Non potendosi permettere la traversata di ritorno in Francia e nell’incertezza che le proprie opere avrebbero mai trovato un mercato, nel 1901 salpa per Atuona nelle isole Marchesi. Qui, Gauguin costruisce e decora una nuova casa in stile locale chiamandola “Casa del piacere”. La casa ed il terreno circostante sono di per sé un’opera d’arte, con stipiti ed architravi intagliati, decorazioni scolpite in giro per la proprietà e un giardino dove pianta girasoli importati dalla Francia. Ma la visione fantastica del Pacifico diventa sempre più simile ad un incubo.
In pochi seguono il feretro di Gauguin al suo funerale e la solennità dell’occasione è guastata da una lite sul fatto che l’artista reprobo desiderasse o meno essere sepolto in terra consacrata. Di fatto, l’unica terra adatta sarebbe stata quella dell’Arcadia.